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Società unipersonale: applicabili le sanzioni 231

La società unipersonale, in caso di reati commessi nel suo interesse o vantaggio, è chiamata a rispondere purchè sia individuabile un interesse sociale distinto da quello dell’unico socio, tenendo conto non solo dei rapporti tra socio unico e società, ma anche dell’organizzazione della stessa, dell’attività svolta e delle dimensioni dell’impresa.

E’ quanto si può evincere dalla sentenza della terza sezione della Corte di cassazione n. 22082 del 12 giugno 2025.

La vicenda traeva origine dalla sentenza emessa dalla Corte d’appello di Trieste che condannava una alla sanzione pecuniaria valutata in 75 quote da 300 euro, mentre il legale rappresentante ha beneficiato della prescrizione per la gestione illecita di rifiuti.

Avverso la sentenza ricorreva per cassazione la società deducendo la violazione dell’art. 5 D.Lgs. 231/2001 per “insussistenza di un interesse e/o vantaggio in favore dell’Ente” nonchè il vizio di motivazione e il travisamento della prova. Il legale rappresentante, infatti, era socio unico e amministratore unico della società unipersonale ed accentrava il potere direttivo, gestionale e di spesa, per cui non era configurabile un interesse aziendale distinto da quello della persona fisica che deteneva il capitale sociale.

Inoltre, la società non aveva conseguito alcun vantaggio economico, non essendo stata rinvenuta sui conti correnti della società una cifra corrispondente a quella ipotizzata come illecitamente risparmiata (300.000,00 euro).

La cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso affermando che l’applicazione della disciplina del D.Lgs. 231/2001 alle società di capitali unipersonali è tema delicato in quanto, in caso di ridotte dimensioni dell’azienda, qualora sussista una piena identificazione tra gli interessi personali della persona fisica e l’ente, vi è il concreto rischio di duplicazione della sanzione nei confronti del medesimo soggetto.

Come affermato dalla Giurisprudenza, il Decreto 231 è applicabile alle società unipersonali “a condizione che sia individuabile un interesse sociale distinto da quello dell’unico socio, tenendo conto dell’organizzazione della società, dell’attività svolta e delle dimensioni dell’impresa, nonchè dei rapporti tra socio unico e società” (sent. n. 45100, Sez IV, 16/02/2021).

La pronuncia trova riscontro anche nel dato normativo: come correttamente osservato dalla Corte territoriale, l’art. 6, infatti, include gli “enti di piccole dimensioni”, valorizzando il numero di dipendenti della società e l’organizzazione aziendale oltre al valore dei beni che compongono il patrimonio sociale.

La Suprema Corte parla di “dualità soggettiva” fra ente e persona fisica, citata dalla Corte territoriale: tuttavia, l’ente è connotato da interessi propri, da una organizzazione articolata e da un consistente patrimonio, che lo rendono a tutti gli effetti un soggetto economico e giuridico differente dalla persona fisica che lo amministra e che ne detiene il patrimonio.

Trattamento sanzionatorio

Da ultimo, giova soffermarsi sulla censura difensiva relativa al trattamento sanzionatorio: nel ricorso si lamentava  l’eccessività della pena irrogata, in quanto si era valutato l’importo delle quote in 300,00 euro l’una. Tuttavia, l’art. 11 D.Lgs. 231/2001 stabilisce che nei casi previsti dall’art. 12 comma 1, ossia in presenza di un danno esiguo, l’importo della quota non può mai superare l’importo di 103,00 euro.

Sul punto la Cassazione ha accolto la doglianza affermando che il valore fissato il 300,00 euro fosse evidentemente eccessivo. Per tale ragione, la sentenza è stata annullata esclusivamente con riferimento alla sanzione, rideterminata ex lege senza dover investire della questione la Corte territoriale.

 

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