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Riforma 231: il position paper di Confindustria

In attesa della riforma del decreto legislativo 231/2001, Confindustria ha recentemente pubblicato un nuovo Position Paper dedicato proprio alla disciplina 231.

Nel documento intitolato Prospettive di riforma della responsabilità “amministrative” degli Enti, la Confederazione analizza le diverse criticità riscontrate negli oltre venti anni di esperienza applicativa, suggerendo una serie di interventi di riforma indirizzati al superamento di quel “sentimento più diffuso tra le imprese”: disagio e disorientamento.

Nella parte introduttiva, viene posta l’attenzione sull’importanza assunta dal D.Lgs. 231/2001  che ha rappresentato una novità significativa nel panorama normativo italiano, introducendo la responsabilità degli enti per gli illeciti commessi, nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, da soggetti interni in posizione apicale o subordinata.

La logica perseguita dal legislatore nel 2001 era preventiva e premiale: affidare alle imprese virtuose un ruolo attivo nella prevenzione dei fenomeni della criminalità del profitto, riconoscendo loro, a fronte dell’adozione del modello organizzativo, l’esimente da responsabilità.

Pertanto, prima ancora di essere diritto punitivo, la responsabilità 231 richiede il concorso attivo del destinatario alla realizzazione delle finalità di prevenzione.

L’esperienza applicativa ha, tuttavia, evidenziato numerose difficoltà.

La genericità del dato normativo, unita alla stratificazione di successivi interventi tra loro scoordinati e alla continua integrazione del catalogo dei reati presupposto, nonché un regime probatorio e sanzionatorio non in linea con le garanzie del giusto processo, hanno fatto deviare il sistema in chiave meramente repressiva, relegando in secondo piano gli obiettivi collaborativi e premiali, che ne rappresentavano il reale valore aggiunto.

Dopo aver brevemente introdotto alcune valutazioni di carattere generale, Confindustria affronta dei singoli temi, avanzando, per ognuno di questi, delle proposte di riforma.

Per quanto riguarda l’ambito applicativo oggettivo, suggerisce una razionalizzazione” del catalogo dei reati presupposto, attraverso due principali linee direttrici.

Anzitutto, per individuare le fattispecie effettivamente rilevanti come reati presupposto si potrebbe assumere quale criterio base, oltre all’imprescindibile stretta connessione con l’attività d’impresa, anche la riconducibilità delle fattispecie a specifici obblighi di criminalizzazione della persona giuridica previsti dalle normative sovranazionali.

Sarebbe, dunque, un modo per espungere dal catalogo 231 quelle fattispecie macroscopicamente incoerenti rispetto al contrasto alla criminalità di impresa. Tra gli obiettivi vi è, per l’appunto, quello di superare l’irragionevole automatismo che ha decretato la rilevanza, ai sensi della 231, di gran parte delle nuove ipotesi di reato introdotte nell’ordinamento penale per le persone fisiche.

In secondo luogo, pone non pochi dubbi circa l’inclusione nel perimetro 231 di quei reati che, per loro struttura, rendono labili i confini della responsabilità, oltre che complessa la predisposizione MOG adeguati.

In particolare, vengono in rilievo i reati associativi e di autoriciclaggio, i quali presuppongono o sono finalizzati, a loro volta, alla realizzazione di reati-base o reati-fine, che possono non rientrare nell’elenco tassativo delle fattispecie presupposto previste dal Decreto 231.

Nelle ipotesi dei reati associativi, propone di limitare la rilevanza, ai fini 231, del reato associativo medesimo, escludendo, invece, l’imputabilità per i reati fine che non siano inclusi nel catalogo degli illeciti presupposto 231.

Quanto invece all’ambito soggettivo di applicazione del Decreto 231, suggerisce di riconsiderare l’applicabilità del Decreto 231 alle imprese di minori dimensioni, con particolare riferimento alle microimprese, come definite dalla  Raccomandazione della Commissione UE 2003/361/CE (impresa che occupa meno di 10  dipendenti e realizza un fatturato annuo, oppure un totale di bilancio annuo, non superiori a 2 milioni di euro) nelle quali, per la modesta complessità organizzativa, non è possibile  riscontrare la sussistenza del presupposto fondante la responsabilità 231, ovvero la colpa  in organizzazione e che, quindi, non possono essere considerate autonomo centro di  imputazione di responsabilità e di sanzioni.

Confindustria sottolinea come il tessuto imprenditoriale italiano sia costituito in gran parte da imprese di piccole e piccolissime dimensioni, con un numero ridotto di dipendenti, spesso gestite direttamente dal proprietario o dal socio di maggioranza, e caratterizzate da una struttura di governance societaria molto semplice.

In tali contesti, risulta complesso – e spesso poco funzionale – non solo implementare un MOG, a causa, ad esempio, della difficoltà nell’individuare punti di controllo, garantire la separazione tra funzioni e responsabilità, o istituire un sistema strutturato di controllo interno, ma soprattutto dimostrare un’effettiva separazione tra la volontà dell’autore del reato presupposto e quella dell’ente stesso.

Ad ogni modo, l’eventuale esclusione delle microimprese dall’ambito di applicazione della responsabilità 231 non impedirebbe comunque a queste ultime di adottare, su base volontaria, strumenti e protocolli preventivi simili a quelli previsti dai Modelli di Organizzazione e Gestione, eventualmente in forma semplificata o adattata alle specifiche esigenze organizzative.

Con riferimento ai gruppi d’impresa, Confindustria sottolinea la necessità di operare una riforma concreta ed effettiva, tenuto conto che si tratta di una realtà economica e organizzativa molto diffusa nel tessuto produttivo italiano.

In particolare, in queste realtà organizzative esiste, e va garantita, la necessità di bilanciare l’autonomia delle singole società con l’esigenza di promuovere  politiche e indirizzi di gruppo.

In tal senso, occorre intervenire normativamente per disciplinare la coesistenza tra la compliance di gruppo e il MOG adottato dalla singola impresa, declinando i presupposti per la “risalita” di responsabilità verso la capogruppo nel caso di reato commesso nell’ambito di una controllata.

In merito ai Modelli organizzativi ante delictum, si ritiene essenziale una migliore definizione normativa del MOG al fine di rafforzarne il profilo dell’astratta idoneità ovvero la sua capacità di resistere a una verifica giudiziale.

Pertanto, occorre anzitutto recepire a livello normativo le indicazioni tratte dalla prassi più virtuosa consolidatasi in questi anni, utili a delineare le fasi del processo metodologico che conduce l’ente a definire il proprio MOG.

In altre parole, Confindustria ritiene necessaria l’introduzione di regole certe che possano guidare le imprese nel metodo di costruzione del modello, accompagnandole nell’adozione di un corpo di presidi e protocolli preventivi che sia ben calibrato su ciascuna realtà aziendale.

La riforma dovrebbe, altresì, valorizzare il ruolo dei Codici di comportamento redatti dalle associazioni di categoria più rappresentative e approvati dal Ministero della Giustizia, facendone il parametro di riferimento per la costruzione del MOG e la successiva valutazione giudiziale di astratta idoneità dei singoli modelli a essi conformi, ferma l’ineliminabile discrezionalità del giudice in ordine alla verifica della concreta efficacia dei presidi adottati dall’ente.

In parallelo a tale intervento, orientato a una più chiara definizione dei modelli ante delictum, la Confederazione auspica l’introduzione di misure che valorizzino la cooperazione post factum, mediante strumenti concretamente premiali.

Come noto, esistono già disposizioni di questo tipo nel Decreto 231 funzionali a sospendere o revocare l’applicazione delle misure cautelari (artt. 49 e 50), o per poter beneficiare, in  caso di condanna, di un trattamento sanzionatorio più mite, sia a livello pecuniario che di  sanzione interdittiva (artt. 12, 17, 65, 78).

L’incentivo alle condotte di ravvedimento post factum dell’ente.

Nella position paper, si propone di arricchire il catalogo delle condotte riparatorie già previste, anche ispirandosi ad alcuni modelli comparati di giustizia negoziata.

Infatti, in Italia, non esistono istituti analoghi a quelli statunitensi e inglesi che consentano alle imprese di raggiungere, con la magistratura, una soluzione transattiva.

L’implementazione di misure di questo tipo potrebbe rappresentare un valido strumento di incentivo alla collaborazione ed emersione volontaria.

In questa direzione, viene valutata l’introduzione di un meccanismo di probation per le società, vale a dire una norma che, sulla falsariga dell’art. 49 del Decreto 231, preveda la facoltà per l’ente di chiedere la sospensione del procedimento, al fine di adottare un nuovo modello organizzativo, o colmare il gap di quello esistente, e conformarsi alle prescrizioni dell’art. 17.

Qualora l’autorità giudiziaria, nell’esercizio della sua discrezionalità, dovesse valutare idoneo il modello post factum adottato, si verificherebbe l’estinzione dell’illecito 231 e, quindi, l’esclusione della responsabilità dell’ente.

Confindustria, allineandosi ad autorevole dottrina, suggerisce di estendere anche alla persona giuridica l’applicazione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, previsto, per le persone fisiche, dall’art. 168-bis c.p., adattandolo alla natura giuridica del soggetto destinatario.

Tale  soluzione realizzerebbe un adeguato contemperamento tra l’esigenza di riorganizzazione e  risocializzazione dell’ente e quella di prosecuzione dell’attività produttiva.

Confindustria ritiene necessari alcuni correttivi anche sul piano delle tutele processuali, in ragione della natura, sostanzialmente penale, della responsabilità 231.

Occorre, anzitutto, affrontare il tema dell’onere della prova e, in particolare, il meccanismo oggi previsto nel caso di illecito commesso dagli apicali.

Infatti, l’attuale disciplina prevede che, in tali ipotesi, a differenza del caso in cui l’illecito sia commesso da un sottoposto, spetti all’ente provare il rispetto dei presupposti richiesti dall’art. 6 del Decreto. Ciò rende eccessivamente gravosa la posizione processuale dell’ente indagato, sovvertendo, peraltro, i principi di presunzione di innocenza su cui si fonda l’ordinamento penale.

Pertanto, è necessario assimilare questo regime probatorio a quello previsto per i reati commessi da soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, attribuendo alla pubblica accusa l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti della responsabilità dell’ente, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità.

Come chiarito in più occasioni dai giudici di legittimità, il  fondamento della responsabilità dell’ente è la colpa di organizzazione. Essa, pertanto, costituisce un elemento costitutivo dell’illecito, la cui dimostrazione è onere dell’accusa, a prescindere dalla  collocazione gerarchica dell’autore del reato presupposto.

Le sanzioni interdittive

Confindustria pone l’attenzione anche sull’elevata invasività delle sanzioni interdittive per la vita dell’ente,  sottolineando la necessità di intervenire per rivederne i criteri di scelta e di applicazione (art. 14 del Decreto 231).

Il giudice deve valutare, oltre ai criteri di natura oggettiva già previsti dall’art. 11 (gravità del fatto; grado di responsabilità dell’ente; attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e prevenire ulteriori illeciti), anche alcuni parametri soggettivi, quali la capacità patrimoniale, le dimensioni, la solidità economico-finanziaria dell’ente, nonché i danni reputazionali che l’applicazione di tali misure può determinare in capo agli enti.

Successivamente, suggerisce di includere tali parametri soggettivi tra i presupposti per l’applicazione, in via cautelare, delle sanzioni interdittive ai sensi dell’art. 45 del Decreto. Infatti, non si può prescindere da una valutazione delle condizioni patrimoniali ed economiche dell’ente – da considerare anche quali possibili indicatori di futura solvibilità – né dagli effetti che tali misure possono avere sulla continuità dell’attività produttiva, con potenziali ricadute anche di natura occupazionale, nelle more del giudizio.”  Infine, sottolinea che i suddetti presupposti, tanto oggettivi quanto soggettivi, dovrebbero costituire criteri guida anche nella valutazione giudiziale per l’applicazione delle misure cautelari di natura patrimoniale, quali il sequestro preventivo e il sequestro conservativo, previsti dagli articoli 53 e 54 del Decreto

La finalità degli interventi proposti è di anticipare la valutazione dei richiamati presidi – oggettivi e soggettivi – già in sede cautelare, una fase che richiede maggiori garanzie a tutela dell’ente, considerando che si tratta di un momento precedente all’effettiva dimostrazione della colpevolezza. Peraltro, un intervento in questa direzione garantirebbe un uso più razionale ed equilibrato di tali misure.

La prescrizione

Inoltre, affronta in anche la problematiche legate alla disciplina della prescrizione di cui all’art. 22 del Decreto in base al quale le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato; il decorso della prescrizione si interrompe con la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e con la contestazione dell’illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 59 del Decreto. Quest’ultima causa interrompe il corso della prescrizione fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

Tale disciplina, da un lato, espone al rischio di un utilizzo strumentale della richiesta di misure cautelari, volto a interrompere il decorso della prescrizione, con conseguente lesione delle garanzie sostanziali e processuali dell’ente; dall’altro lato, di fatto, rende imprescrittibili le sanzioni amministrative a carico dell’ente, oltre a pregiudicarne il pieno esercizio del diritto di difesa.

Pertanto, propone di estendere anche all’illecito 231 riconducibile all’ente lo stesso regime di prescrizione del reato previsto per le persone fisiche.

Inoltre, ritiene opportuno l’applicazione alle persone giuridiche del nuovo istituto, introdotto per le persone fisiche dalla legge 27 settembre 2021 n. 134, dell’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione di cui all’art. 344-bis del codice di procedura penale.

Infine, si ritiene opportuno prevedere l’estensione all’ente della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, attualmente disciplinata per le persone fisiche dall’art. 131-bis c.p.

In questa prospettiva, sarebbe auspicabile un intervento  legislativo che riconosca l’irrilevanza (penalistica) della colpa di organizzazione per eventi di minima offensività.

In ragione della natura sostanzialmente penale della responsabilità 231, auspica l’estensione anche all’Ente quale soggetto processuale, delle garanzie fondamentali riconosciute all’imputato persona fisica.

In particolare, metti in luce due profili rispetto ai quali un tale intervento di riforma appare urgente ovvero la  configurazione del diritto al silenzio in termini coerenti con la realtà operativa delle organizzazioni collettive e l’estensione al legale interno delle garanzie di libertà del  difensore di cui all’art. 103 c.p.p..

Invero, l’art. 44 del Decreto 231 accorda un’incompatibilità con l’ufficio di testimone esclusivamente alla persona imputata del reato da cui dipende l’illecito amministrativo e al legale rappresentante che si sia costituito nel processo, purché rivestisse tale funzione anche al momento della commissione del reato presupposto. Tale previsione presta il fianco a diverse criticità. Si pensi, ad esempio, al legale rappresentante ex art. 39 del Decreto, che tuttavia non rivestiva tale carica al momento del fatto o, al contrario, al legale rappresentante al momento del fatto, che non sia però più tale al momento dell’audizione.

Infine, Confindustria richiama l’attenzione sulle criticità riscontrate nella prassi applicativa dovute alla diffusa mancanza di interdipendenza e coordinamento tra decisioni adottate, in relazione ai medesimi fatti storici, da Autorità Giudiziarie e/o amministrative differenti. Ciò ha evidenti effetti penalizzanti, per gli operatori economici, in termini di certezza del diritto e congruità delle sanzioni applicate.

La recente riforma introdotta dal D.lgs. n. 84/2024 ha attribuito efficacia di giudicato alle sentenze penali di assoluzione nell’ambito del processo tributario, senza tuttavia prevedere un analogo effetto per le decisioni tributarie nel processo penale. Le interpretazioni giurisprudenziali di tipo restrittivo hanno generato incertezza applicativa e disparità di trattamento, rendendo auspicabile un intervento normativo volto ad estendere tale principio, al fine di assicurare un maggiore coordinamento tra i giudicati riferiti agli stessi fatti.

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