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Il preposto non è tenuto ad uniformarsi alle scelte imprudenti impartite

Il preposto è colui che sovraintende a determinate attività produttive e che svolge funzioni di immediata supervisione e di diretto controllo sull’esecuzione delle prestazioni lavorative. Egli ha la specifica competenza prevenzionale di controllare l’efficienza antiinfortunistica dell’esecuzione delle prestazioni lavorative (art. 2 lett. e) del D.Lgs. n. 81/2008).

Il preposto si colloca in posizione intermedia rispetto ai dirigenti ed ai lavoratori, differenziandosi per la ridotta autonomia e la collocazione a diretto contatto con i lavoratori. Esercita le funzioni di sorveglianza e di controllo dell’attività lavorativa.

Il preposto si caratterizza per il suo ruolo di supremazia rispetto al lavoratore: non sono richieste specifiche qualifiche e responsabilità, potendo essere questo ruolo affidato a chiunque si trovi in una posizione tale da porlo in condizione di dirigere l’attività lavorativa di altri lavoratori soggetti ai suoi ordini.

L’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008 definisce gli obblighi del preposto: vigilare ed intervenire affinché i lavoratori svolgano le proprie mansioni in modo sicuro e conforme alle disposizioni, nonché riferire ai superiori sulle carenze prevenzionistiche riscontrate e sui comportamenti non corretti dei lavoratori. Inoltre, essi sono tenuti e frequentare dei corsi di formazione.

UN CASO PRATICO

In una recente sentenza (Cass. Pen., n.10460/2025), la Cassazione ha confermato la condanna di tre preposti operanti all’interno del medesimo, per il reato di lesioni personali colpose gravissime in danno di un operaio apprendista assunto da pochi mesi per aver omesso “di sovraintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, posta la prassi consolidata e quotidiana volta al lavaggio del filtro essiccatore MD1 con inosservanza delle disposizioni di sicurezza” omettendo di informare i superiori diretti. In altre parole, i preposti avrebbero dovuto portare a conoscenza della procedura in uso non solo i superiori diretti, ma anche altre figure. A loro difesa, hanno fatto presente che, i lavoratori seguivano pedissequamente quanto ordinato dal dirigente, con la conseguenza che, anche volendo suggerire la condotta corretta, questa non avrebbe comunque scongiurato l’evento, in quanto non sarebbe stata presa in considerazione da chi aveva la responsabilità di decidere in che modo si doveva lavorare. Tutti i superiori poi erano già a conoscenza della prassi consolidata.

La Cassazione non ha condiviso l’argomentazione difensiva poichè “l’obbligo di segnalazione non si esauriva con le eventuali comunicazioni al dirigente, ma poteva riguardare altre figure” quali, ad esempio, i delegati in materia di igiene e sicurezza. La linea difensiva dei tre preposti, per cui il dirigente fosse stato l’ispiratore della prassi negligente (e dunque non sussisteva l’obbligo di informare) non poteva essere condivisa. A dimostrazione che era possibile denunciare la prassi errata, si pensi all’esempio di uno dei tre preposti che aveva a suo tempo denunciato ed era stato trasferito.

La sentenza, infine, sostiene che i preposti fossero investiti, ciascuno nell’ambito dei loro compiti, di autonome posizioni di garanzia. Sulla scorta di tale assunto, la Cassazione ha affermato il principio per cui “il fatto che si venga meno al proprio obbligo di vigilanza sul rispetto delle normative prevenzionistiche in materia di sicurezza del lavoro in esecuzione di precise scelte organizzative da parte dei propri superiori non esonera i sottoposti che rivestono specifiche ed autonome posizioni di garanzia dalla loro responsabilità avendo gli stessi il dovere di non uniformarsi e di denunciare le prassi lavorative che mettano a rischio l’incolumità dei lavoratori”.

LA GIURISPRUDENZA

Il principio affermato rappresenta una derivazione di quello più generale per cui, “in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo di tutela imposto dalla legge, sicché l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile a ogni singolo obbligato” (Cass. Pen. n. 28/2022)

Con riferimento alle figure del dirigente e del preposto, la giurisprudenza ha chiarito che, “in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascun garante risulta per intero destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia” (Cass. Pen. n. 2539/2016).

La Suprema Corte, nella stessa direzione, ha avuto modo di precisare che “tra i doveri dei capo cantiere rientra, ad esempio, quello di segnalare situazioni di pericolo per l’incolumità dei lavoratori e di impedire prassi lavorative contra legem(Cass. Pen. n. 4340/2015).

Inoltre, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia il capo cantiere è in particolare destinatario diretto dell’obbligo di “verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all’interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche” (Cass. Pen. n. 24948/2017).  Il preposto, dunque, è “personalmente tenuto a far adottare ai dipendenti i necessari mezzi di protezione individuale adeguati al tipo di lavoro che devono compiere, svolgendo a tal fine specifica attività di vigilanza e controllo; altrimenti, in caso di insorgenza di rischi all’integrità fisica dei lavoratori, deve segnalare al datore di lavoro la carenza o inadeguatezza del mezzo di protezione individuale dato in uso ai dipendenti” (Cass. Pen. n. 10812/2008).

In conclusione, è chiaro che è a questi aspetti che la giurisprudenza fa riferimento quando parla di obblighi “personali” del preposto in correlazione con la sua autonoma posizione di garanzia.

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