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L’assoluzione dell’apicale esclude il reato presupposto dell’ente

L’esclusione della responsabilità del soggetto apicale della società produttrice di un macchinario, per essere l’infortunio ascrivibile esclusivamente al datore di lavoro, va intesa quale esclusione del reato presupposto.

Tale principio è stato affermato in una recente pronuncia –  n. 17467 del 30/04/2025 – con cui la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato da una società avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva rigettato l’istanza di revisione proposta ai sensi dell’art.630 comma lett a) c.p.p..

Per comprendere appieno le argomentazioni poste dalla Corte alla base delle proprie conclusioni, è opportuno ricostruire brevemente la vicenda processuale e l’oggetto del giudizio.

Due sono le società coinvolte nel procedimento: la prima è la IMAL, azienda produttrice della semi-macchina da cui sarebbe derivato l’infortunio; la seconda è la Ecoblock, società a cui apparteneva il lavoratore infortunato.

Ebbene, il procedimento a carico della società ricorrente, IMAL, è stato definito con sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, del D.lgs. 231/2001, in relazione al delitto di cui all’art. 590, comma 3, c.p., a seguito di un infortunio sul lavoro occorso a un dipendente della società Ecoblock.
Nei confronti del legale rappresentante della IMAL, invece, il Tribunale di Modena ha pronunciato sentenza di proscioglimento, ritenendo, all’esito dell’istruttoria, che la violazione della regola cautelare contestata non fosse causalmente ricollegabile all’infortunio, in quanto l’evento si era verificato a linea ferma.

Nella sentenza di assoluzione è stata, infatti, esclusa la responsabilità del predetto in quanto la macchina, sebbene fornita dalla IMAL, doveva essere assemblata dalla Ecoblock, alla quale competeva anche il rilascio della certificazione CE dell’intera linea.

Secondo la difesa della società ricorrente, la sentenza di primo grado, avendo escluso la rilevanza causale della condotta contestata al legale rappresentante  avrebbe dovuto portare all’esclusione della responsabilità di qualunque persona fisica riferibile a IMAL e, conseguentemente, della responsabilità dell’Ente stesso che, come noto, si configura quando un reato presupposto viene commesso da uno dei soggetti indicati all’art.5 d.lgs. 231/2001 (apicali o sottoposti).

Pertanto, ad avviso della difesa, i giudici di merito avrebbero impropriamente richiamato l’art. 8 del D.lgs. n. 231/2001, in quanto tale norma, che sancisce l’autonomia della responsabilità dell’Ente anche nei casi in cui l’autore del reato “non sia stato identificato o non sia imputabile”, presuppone comunque che il soggetto sia in qualche modo riferibile all’Ente.

La parte ricorrente ha, dunque, lamentato che «la Corte di Ancona non avrebbe tenuto conto del fatto che la mancanza di responsabilità dell’apicale, per insussistenza del rapporto causale fra la condotta colposa contestata e l’evento, esclude la responsabilità di qualsiasi altro apicale o sottoposto di IMAL e quindi la riconducibilità dell’illecito amministrativo correlato all’ente. Non solo: essendo contestato all’ente l’illecito amministrativo ex art. 5, comma 1 lett. a), il proscioglimento dell’apicale comporta conseguentemente il proscioglimento dell’ente».

Orbene, la Corte di Cassazione, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale, ha preliminarmente chiarito che il contrasto di giudicati, cui si riferisce l’art. 630, comma 1, iett. a), cod. proc. pen. sussiste anche tra l’accertamento contenuto in una sentenza di patteggiamento e quello contenuto in una sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario, in quanto l‘art. 629 cod. proc. pen. prevede espressamente la revisione “delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen.”.

Ha poi evidenziato che il procedimento di revisione può essere attivato anche nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti, dovendosi estendere agli enti tutte le garanzie previste per il condannato in quanto compatibili.                   

Ciò posto, la Cassazione ha ritenuto che nel giudizio di merito non fosse stato correttamente applicato l’orientamento giurisprudenziale in tema di revisione.

In particolare, nella sentenza impugnata è stata richiamata una pronuncia relativa ad un caso differente in cui non era stato negato il rapporto di dipendenza del lavoratore infortunato con l’ente e, pur essendo enunciata nel dispositivo la formula “perché il fatto non sussiste”, la Corte ha constatato che la motivazione della sentenza aveva affermato cosa diversa, ritenendo solamente che i due imputati non rivestissero una posizione di garanzia e adoperando una formula assolutoria non corrispondente a quanto argomentato in motivazione. In definitiva, tale decisione riguardava un caso in cui l’accadimento dell’infortunio sul lavoro era stato accertato nella pronuncia assolutoria, rimanendo non individuate le figure dei responsabili dell’accaduto.

Si legge nella parte motiva della pronuncia di legittimità che «la diversa statuizione in termini di efficienza causale della condotta contestata al soggetto apicale della IMAL non ha comportato la persistente ascrivibilità dell’infortunio al produttore IMAL», come nel caso trattato dalla richiamata pronuncia della Quarta Sezione (n. 10143 del 10/02/2023, Fassa Srl, Rv. 284239 – 01) .

La Suprema Corte, condividendo le argomentazioni della difesa, ha tenuto presente una pronuncia delle Sezioni Unite: “in tema di responsabilità degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, il reato contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilità della persona giuridica” (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014).

La Cassazione si è poi soffermata sulla giurisprudenza formatasi in materia di divieto di bis in idem, univoca nell’affermare che l’identità del fatto storico, ai fini del divieto di nuovo giudizio, va valutata nel suo complesso, considerando tutti gli elementi costitutivi del reato (condotta, evento, nesso causale) e le circostanze di tempo, luogo e persona.

Dunque, per verificare l’identità del fatto storico, è necessario confrontare le condotte concretamente poste in essere dai medesimi soggetti, al fine di valutarne la sovrapponibilità. L’identità del fatto storico che costituisce il reato presupposto permane anche in caso di assoluzione di uno dei coimputati, qualora resti comunque accertata la responsabilità degli altri, oppure di un soggetto non identificato le cui condotte siano comunque riconducibili al medesimo Ente. Diversamente, qualora cambi l’Ente di appartenenza del soggetto apicale imputato, muta conseguentemente anche il fatto storico rilevante.

Occorre duque rilevare che, nel caso in esame, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’inconciliabilità non riguarderebbe i fatti posti a fondamento della condanna, non risulta supportata da un’adeguata applicazione dei principi interpretativi elaborati dalla Corte di Cassazione.

Invero, il fatto storico su cui si basa la responsabilità dell’ente IMAL, in qualità di produttore, è rappresentato dall’infortunio occorso a un dipendente della Ecoblock durante l’utilizzo di un macchinario, rispetto al quale era stata ipotizzata anche la responsabilità del produttore.

Tuttavia, la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di cognizione nei confronti delle persone fisiche imputate ha escluso che tale evento fosse riconducibile al soggetto apicale della IMAL Srl, così riconoscendo la responsabilità esclusiva dei garanti della società datrice di lavoro.

La Cassazione ha, quindi, annullato la sentenza impugnata, affinché il giudice del rinvio valuti l’istanza di revisione alla luce del seguente principio di diritto:

“Sussiste diversità del fatto storico tra un infortunio in materia di lavoro correlato all’uso di un macchinario ascritto all’impresa datrice di lavoro e il medesimo infortunio ascritto alla condotta del produttore del macchinario”.

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