Con ordinanza del 30 maggio 2025, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze ha rigettato una delle principali eccezioni preliminari sollevate dalla difesa nell’ambito di un procedimento penale a carico di una pluralità di soggetti, tra cui enti collettivi, coinvolti in ipotesi di reato rientranti nel perimetro del D.lgs. 231/2001.
In particolare, la difesa contestava l’assenza, all’interno della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, di una puntuale descrizione della cosiddetta “colpa di organizzazione” dell’ente, ossia quell’elemento fondamentale che giustifica la responsabilità amministrativa della persona giuridica per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio da soggetti apicali o sottoposti.
Secondo il Gup, l’eccezione, pur sollevando una questione fondata sul piano strutturale dell’imputazione, non può essere accolta.
Infatti, a differenza di quanto avviene nella fase dibattimentale – dove il giudice può effettivamente dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio o del decreto di citazione a giudizio per difetto di determinatezza (ai sensi degli articoli 429 e 552 c.p.p.) – nell’udienza preliminare, alla luce della recente riforma Cartabia e in continuità con la cosiddetta giurisprudenza “Battistella”, il giudice non può pronunciarsi immediatamente sulla nullità per imputazione indeterminata, ma è tenuto preliminarmente a sollecitare il pubblico ministero a correggere o integrare l’imputazione. Solo in caso di inerzia o rifiuto del PM, il Gup può dichiarare la nullità e restituire gli atti.
Nel merito, il giudice ha richiamato il quadro giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui la responsabilità dell’ente non si fonda automaticamente sulla commissione del reato presupposto da parte del soggetto apicale, ma richiede l’accertamento di un difetto organizzativo.
L’illecito dell’ente, infatti, si fonda su presupposti propri e distinti da quelli della responsabilità penale individuale: non basta che il reato sia stato commesso nell’interesse dell’ente, ma occorre che sia dimostrata la mancanza o l’inadeguatezza di un modello organizzativo idoneo a prevenire quel tipo di illecito.
Ciò significa che il giudice deve idealmente collocarsi nel momento in cui è stato commesso l’illecito e valutare se, osservando concretamente un modello organizzativo virtuoso (il “comportamento alternativo lecito”), sarebbe stato possibile eliminare o quantomeno ridurre il rischio di commissione di illeciti analoghi a quello verificatosi.
Come affermato nell’ordinanza, tale criterio è stato individuato in dottrina come una “nuova frontiera ermeneutica” in relazione all’illecito degli enti, che ricostruisce la struttura dell’illecito secondo un modello di tipo colposo.
Nel caso in esame, il Gup ha rilevato che, sebbene nella richiesta di rinvio a giudizio fossero indicate le condotte penalmente rilevanti e l’interesse perseguito dagli enti, mancava tuttavia qualsiasi riferimento all’adozione o meno di un modello organizzativo, né si indicavano le ragioni della sua eventuale inidoneità.
Alla luce di ciò, il giudice ha ritenuto necessario invitare il pubblico ministero a riformulare le imputazioni nei confronti degli enti, integrando per ciascun capo d’accusa gli elementi relativi alla colpa di organizzazione.
Alla richiesta del giudice ha però fatto seguito una nuova iniziativa da parte del P.M., il quale, con istanza del 6 giugno 2025, ha evidenziato l’impossibilità, allo stato, di ottemperare all’invito ricevuto.
Secondo quanto rappresentato, infatti, dall’esame degli atti del fascicolo delle indagini preliminari non risulta acquisito alcun modello di organizzazione e gestione adottato dalle società imputate nel periodo contestato, dal 2014 al 2021. L’unico documento parzialmente rilevante sarebbe stato trasmesso in via informale tramite una mail difensiva nell’ambito di un procedimento parallelo (n. 7824/2022 RGNR), ma tale modalità di trasmissione è stata ritenuta inidonea ai fini processuali.
In assenza di un accertamento ufficiale sull’esistenza e sul contenuto dei modelli organizzativi, il P.M. ha quindi sottolineato l’oggettiva impossibilità di procedere alla riformulazione dell’imputazione, non essendo possibile verificare se le società fossero dotate o meno dei presidi previsti dal D.lgs. 231/2001 e, in caso affermativo, se tali modelli fossero adeguati rispetto alle fattispecie incriminate.
La vicenda conferma come, nei procedimenti “de societate”, il corretto inquadramento della “colpa di organizzazione” rappresenti un presupposto imprescindibile per la corretta formulazione del capo di imputazione, inserendosi inoltre in un più ampio processo di perfezionamento del sistema di responsabilità 231, sempre più orientato a una lettura colposa dell’illecito dell’ente.
Il giudice dell’udienza preliminare, pur rigettando l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa, ha evidenziato la necessità di una motivazione più strutturata e puntuale sul piano accusatorio, richiamando l’obbligo di specificare il deficit organizzativo rimproverabile all’ente.
La risposta del pubblico ministero, che ha segnalato l’assenza di documentazione utile allo scopo, ha tuttavia aperto un nuovo snodo procedurale.
Sarà ora compito del Gup valutare se accogliere l’istanza al fine di consentire al P.M. di dare seguito all’invito ricevuto e riformulare le imputazioni in modo conforme ai criteri richiesti dalla giurisprudenza.