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Interesse e vantaggio dell’ente nei reati ambientali

Con la sentenza n.19333 del 23 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia di responsabilità amministrativa da reato dell’ente, con specifico riferimento ai criteri di imputazione oggettiva (interesse e vantaggio dell’ente) stabiliti dall’art. 5 d. lgs. 231/2001 per gli illeciti discendenti da reati colposi.

La giurisprudenza ha, difatti, elaborato un criterio di compatibilità, affermando in via interpretativa che i requisiti dell’interesse e vantaggio vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all’evento, cosicché ricorre l’interesse qualora l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

La vicenda qui considerata prende le mosse dalla condanna del comandante di un battello motopesca, ritenuto responsabile di aver cagionato per colpa il versamento in mare di un ingente quantitativo di idrocarburi contenuti in tale imbarcazione.

Il Tribunale di Rimini ha, altresì, condannato la Società per l‘illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, comma 5, lett. a), D.Lgs. 231 del 2001, in relazione alla contravvenzione ascritta all’imputato.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione la persona fisica e la Società che ha dedotto, quale unico motivo, la mancanza di motivazione della pronuncia impugnata, con riferimento all’interesse o al vantaggio conseguito dall’ente dalla commissione del reato.

Invero, a dire della difesa,  la responsabilità amministrativa dell’ente era stata automaticamente desunta dalla affermazione di responsabilità dell’imputato, comandante dell’imbarcazione di proprietà dell’ente medesimo, senza, tuttavia, fornire alcuna indicazione del vantaggio che l’ente ne avrebbe ricavato o del suo interesse, espressamente richiesti dall’art. 5 D.Lgs. 231 del 2001 per la configurabilità della responsabilità amministrativa degli enti.

In realtà, proprio a causa della condotta illecita dell’imputato, l’ente aveva dovuto provvedere, a proprie spese, a bonificare lo specchio di mare involontariamente inquinato, così subendo un danno economico.

Mentre il ricorso proposto dal condannato è stato dichiarato inammissibile, quello presentato nell’interesse dell’ente è stato ritenuto fondato, con conseguente annullamento della sentenza impugnata nei confronti dell’impresa.

Al fine di meglio comprendere il percorso logico – giuridico, i giudici di legittimità hanno richiamato diversi orientamenti, ormai consolidati, in tema di responsabilità amministrativa degli Enti.

La Cassazione ha osservato in premessa che l’interesse o il vantaggio dell’ente sono criteri alternativi tra di loro e costituiscono concetti giuridicamente distinti.

In particolare, l’interesse è il criterio soggettivo consistente nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di giovare all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato concretamente raggiunto o meno.

Diversamente, il vantaggio è il criterio oggettivo, consistente nell’effettivo godimento, da parte dell’ente, di un vantaggio concreto dovuto alla commissione del reato.

Pertanto, essendo i due criteri alternativi e concorrenti tra loro, vanno analizzati in modo differente: l’interesse va indagato ex ante, con riferimento alla consapevole scelta di violare le disposizioni di prevenzione, mentre il vantaggio è riscontrabile solo ex post, guardando in concreto il risparmio o il profitto guadagnato, indipendentemente dalla volontà di ottenere tale vantaggio.

Quanto alla imputazione della responsabilità, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato un criterio di compatibilità secondo cui nei reati colposi «le nozioni di interesse o vantaggio per l’ente, di cui all’art. 5, non devono riferirsi alla realizzazione dell’evento del reato, ma devono riguardare unicamente la condotta, perché è al momento della condotta che si realizza l’intento di procurare un vantaggio all’ente, necessario per poterlo ritenere responsabile, pur essendo l’evento del reato non voluto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhan, Rv. 261115 – 01)».

La Suprema Corte ha, dunque, superato le incertezze legate all’asserita impossibilità di conciliare “il finalismo della condotta”, richiesto dalla nozione di interesse, con la “non volontarietà” propria del paradigma colposo, allineandosi alla posizione già assunta dalla giurisprudenza di legittimità che “ancora” i presupposti dell’interesse e del vantaggio alla condotta – e cioè all’inosservanza delle regole cautelari – e non all’esito antigiuridico.

Ebbene, secondo la Corte, i giudici di merito non hanno fatto buon governo dei principi di diritto sopra richiamati.

Il Tribunale si sarebbe limitato a riconoscere la responsabilità dell’ente come automatica conseguenza dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, in qualità di dipendente dell’ente stesso, senza tuttavia fornire un’adeguata motivazione in merito alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio dell’ente, né specificare alcunché riguardo a una sua eventuale colpa di organizzazione.

Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno motivato in modo insufficiente la sentenza impugnata, ritenuta «inidonea a giustificare l’affermazione della configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente».

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