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Il rapporto fra autore del reato e responsabilità dell’impresa

La Quinta Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 19096/2025,  ha accolto il motivo di ricorso di un ente sanzionato per i furti di carburante commessi presso altra società da persona intranea all’ente, ma di cui non era stata dimostrata la posizione apicale rivestita o la sua sottoposizione alla vigilanza dei vertici aziendali.

L’imputato del reato presupposto, condannato anche per associazione a delinquere con gli esponenti della società derubata del carburante, non era stato, infatti, inquadrato né a norma della lettera a) né della lettera b) dell’articolo 5 del D.Lgs. 231/2001, nelle categorie dei soggetti i cui reati presupposti possono essere imputati anche alla responsabilità amministrativa dell’ente.

La Corte di appello, infatti, in ordine alla qualifica soggettiva rivestita dall’imputato nell’ambito società ricorrente, si è limitata a fare riferimento all’esistenza di una procura speciale, di cui non ha specificato il contenuto, alle generiche dichiarazioni rese dai testi e dallo stesso imputato, il quale aveva ammesso di lavorare nel settore commerciale dell’azienda di famiglia.

Affermazioni generiche dalle quali non è possibile desumere se l’imputato rivestisse nell’ambito della società una delle specifiche qualifiche soggettive che, ai sensi dell’art. 5 del D. 231, consentono di estendere la sua responsabilità all’ente.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha rilevato che la norma menzionata al fine della configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente, oltre al compimento del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente, richiede l’ulteriore elemento del rapporto qualificato tra l’autore del reato presupposto e l’ente, o a norma dell’art. 5 lett. a) che dà rilievo alle figure che rivestono un ruolo apicale nella società, comprese quelle che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo sull’ente, o a norma della lettera b) che disciplina il rapporto tra l’ente e i soggetti subordinati a quelli che rivestono un ruolo apicale.

Tuttavia, il legislatore al fine di scongiurare il rischio di configurare una sorta di responsabilità oggettiva, ha previsto criteri di imputazione soggettiva della responsabilità degli enti, desumibili essenzialmente dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231 del 2001 e 30 D.Lgs. n. 81 del 2008. La giurisprudenza ha elaborato, al riguardo, la nozione di “colpa di organizzazione” dell’ente, consistente, essenzialmente, nel non avere predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

La condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, inteso in senso normativo, poiché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione di uno dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo (sezioni Unite n. 38342 del 24.04.2014).

La giurisprudenza di legittimità, ha inoltre, avuto modo di chiarire che “la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli 6 e 7 del decreto 231 (diversamente strutturati proprio sulla base del tipo di legame tra l’autore del reato e l’ente), non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall’accusa” (Cass. Pen. Sez. 4, n. 18413 del 15.02.2022).

Fondamentali, dunque, da una parte la ricostruzione del rapporto tra autore del reato ed ente, in mancanza del quale il reato non può essere ricondotto neppure sotto il profilo oggettivo all’ente, dall’altra la riconduzione di tale rapporto alle ipotesi espressamente previste dall’art. 5, lettere a) e b) del Decreto, che assume rilevanza anche al fine della ricostruzione della “colpa di organizzazione”.

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