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Responsabilità 231 nei gruppi di imprese: verifica concreta

Qualora il reato presupposto previsto dal D.Lgs. 231/2001 sia stato commesso nell’ambito dell’attività di una società facente parte di un gruppo di imprese, per il riconoscimento della responsabilità dell’ente è sempre necessario dimostrare in concreto la sussistenza  dell’interesse o del vantaggio che ne ha tratto: infatti non si può estendere la responsabilità né alle società collegate né alla capogruppo.

E’ quanto affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 14343 dell’11 aprile 2025, nella quale si è ribadito il principio per cui è importante verificare la sussistenza dell’interesse o vantaggio anche in caso di reato commesso da una società facente parte di un gruppo di imprese.

Con sentenza del 22 marzo 2024, la Corte d’Appello di Bari ha confermato le statuizioni della pronuncia di primo grado relative alla declaratoria di intervenuta prescrizione nei confronti del rappresentante legale di una società per i reati di frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata, previsti e puniti, rispettivamente, dagli artt. 356, commi 1 e 2, c.p., in relazione all’art. 355, comma 2, n. 1, e 640, comma 2, n. 1, c.p.

È stata altresì confermata la condanna della società per l’illecito amministrativo dipendente dal reato presupposto di cui all’art. 640 c.p.

Avverso tale decisione, i difensori della società hanno proposto ricorso per cassazione, lamentando vizi motivazionali della sentenza, che non avrebbe accertato in modo specifico la sussistenza dei presupposti necessari per l’affermazione della responsabilità dell’ente.

Nel pronunciarsi sul ricorso, la Corte di cassazione ha colto l’occasione per ribadire importanti principi in materia di responsabilità da reato degli enti ex D.Lgs. 231/2001.

In primo luogo, ha chiarito che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, la prescrizione del reato presupposto sopravvenuta successivamente alla contestazione dell’illecito amministrativo non determina l’estinzione di quest’ultimo, poiché il termine rimane sospeso sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento a carico della persona giuridica.

Si tratta di un regime derogatorio rispetto a quello previsto per le persone fisiche, ritenuto costituzionalmente legittimo in ragione della diversa natura dell’illecito dell’ente e della funzione del sistema di responsabilità ex delicto, che mira a evitare che l’iniziativa economica privata, tutelata dall’art. 41 della Costituzione, diventi veicolo per la commissione di reati.

In tale prospettiva, anche in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice — ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 231/2001 — è tenuto a compiere un autonomo accertamento della responsabilità dell’ente, nel cui interesse o vantaggio il reato è stato commesso.

Tale verifica non può prescindere da un accertamento, seppur incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

L’art. 8 sancisce, infatti, il principio di autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica autrice del reato presupposto: l’affermazione di responsabilità dell’ente non richiede un accertamento pieno e definitivo della responsabilità penale individuale, essendo sufficiente un accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi previsti dagli artt. 5, 6, 7 e 8 del decreto.

Ne consegue che, pur in presenza di prescrizione del reato presupposto e in assenza di evidenze in ordine all’innocenza dell’autore materiale, non può derivarne automaticamente la responsabilità dell’ente.

Quest’ultima richiede, comunque, una prova positiva della sussistenza di tutti gli elementi che caratterizzano il relativo illecito.
Sul punto, la Corte ha rilevato la carenza motivazionale della sentenza impugnata, nella quale i giudici di appello si sono limitati ad affermare che, non sussistendo dubbi circa la condotta penalmente rilevante della persona fisica, ed essendo irrilevante la prescrizione del reato presupposto, doveva essere confermata la sanzione pecuniaria irrogata nei confronti dell’ente dal primo giudice.

Tutto ciò senza svolgere alcun accertamento specifico in ordine alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l’affermazione della responsabilità della società.

Un ulteriore profilo di censura ha riguardato il fatto che la società faceva parte di un raggruppamento temporaneo di imprese, nell’ambito del quale sarebbe stato commesso l’illecito.

Sul punto, la Corte ha ribadito che, quando il reato presupposto è commesso nel contesto di un’attività svolta da un gruppo o aggregazione di imprese, la responsabilità dell’ente può estendersi alle società collegate solo qualora all’interesse o vantaggio della società direttamente coinvolta si accompagni anche quello della società cui è contestato l’illecito, e a condizione che l’autore del reato possegga la qualifica soggettiva richiesta dall’art. 5 del D.Lgs. 231/2001.

È, infatti, principio consolidato quello per cui la responsabilità della capogruppo o di una società controllata non può desumersi dalla mera coincidenza dell’interesse del gruppo con quello delle singole società, essendo necessaria una verifica concreta dell’interesse o vantaggio effettivamente conseguito dalla specifica società cui si imputa l’illecito.

Anche sotto questo profilo, la motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta generica, poiché i giudici d’appello si sono limitati a richiamare un interesse astratto, identificato nel conseguimento di un “ingiusto profitto patrimoniale”, senza effettuare un accertamento puntuale dello specifico interesse riconducibile alla società ricorrente, distinguendolo da quello riferibile alle altre società del gruppo.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata limitatamente alla posizione della società e rinviando per un nuovo giudizio a una diversa sezione della Corte d’Appello di Bari.

La sentenza si segnala per l’importanza dei principi ribaditi in materia di responsabilità degli enti, in particolare con riguardo:

  1. all’autonomia dell’illecito amministrativo rispetto alla prescrizione del reato presupposto;
  2. alla necessità di un accertamento concreto e puntuale dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l’affermazione della responsabilità dell’ente;
  3. alla necessità di una verifica concreta dell’interesse o del vantaggio effettivamente riferibile alla singola società appartenente al gruppo, da distinguersi con chiarezza da quello della holding o delle altre società del medesimo gruppo.
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